Le spiegazioni teoriche
I modelli quantistici sviluppati negli anni trenta potevano spiegare la conduttività
nei metalli normali, ma non lo stato superconduttivo. Nel 1957 gli scienziati
cominciarono a scardinare il mistero che attanagliava il fenomeno superconduttivo.
Tre fisici americani dell'Università dell'Illinois, John Bardeen, Leon
Cooper e Robert Schrieffer svilupparono un modello per la comprensione dei fenomeni
fisici microscopici che accadono nello stato superconduttivo. Il modello è
basato su considerazioni di meccanica quantistica e l'idea di base prevede che
in un superconduttore gli elettroni condensino in uno stato quantistico di
energia minima e viaggino collettivamente e coerentemente. Secondo
questo modello gli elettroni di conduzione si propagano senza incontrare resistenza
perché si muovono in coppie, le cosiddette coppie di Cooper.
Nel 1972 i tre scienziati vinsero il premio Nobel per la Fisica e da allora
la loro teoria microscopica della superconduttività è indicata
come teoria BCS.
Nel 1962, Brian D. Josephson, ricercatore all'Università di Cambridge,
studiò due superconduttori separati da uno strato di materiale isolante
che agisce da barriera al flusso di corrente. Ebbene, nel caso lo spessore della
barriera non sia troppo grande le coppie di Cooper possono passare per effetto
tunnel attraverso la barriera senza dividersi, e quindi la giunzione funziona
come un debole superconduttore. La corrente critica, vale a dire la supercorrente
massima che può attraversare la giunzione, dipende dalla dimensione della
giunzione, dal tipo di materiale superconduttore e dalla temperatura. Questo
fenomeno, che prende il nome di effetto Josephson, fu verificato
alcuni mesi più tardi da Philip W. Anderson e John M. Rowell dei Bell
Telephone Laboratories. Nel 1973 Josephson ricevette il premio Nobel per la
Fisica in onore dell'effetto che era ormai universalmente riconosciuto come
effetto Josephson.
|